REGGINA: QUI SI FA LA C O SI MUORE
Affidarsi ai numeri, nel calcio, è operazione non sempre esaustiva e capace di spiegare a tutto tondo le dinamiche di campo, mancando tante variabili e sfumature non inquadrabili in un freddo calcolo aritmetico; allo stesso modo però gli stessi numeri, volenti o nolenti, possono risultare impietosi e difficilmente contestabili, e soprattutto sono quelli che, alla fine, contano per stabilire chi ha vinto e chi no.
Quegli stessi numeri raccontano che la Reggina, in questo campionato, è stata sì sconfitta solo due volte, di stretta misura e su rigore, e non perde da nove turni (undici, contando la coppa Italia), ma anche che su 14 partite di campionato ne ha vinte solo la metà, dato assolutamente insufficiente per una squadra che punta alla vittoria finale e che attesta, al di là delle variabili tra infortuni a catena e vicende regolamentari, che chi di dovere non sta compiendo a pieno il proprio dovere. Ammesso che tutti abbiano pienamente compreso quale sia, ed è un dubbio che, ancora oggi, i fatti ci dicono che è lecito porsi.
Non sta a noi individuare le cause di tale situazione che, continuiamo a ribadire, resta non irreversibile a meno di metà torneo disputato e nonostante un distacco dalla prima non incolmabile ma che comincia a diventare importante; sappiamo però certamente a chi tocca farlo e soprattutto a trovare rimedi efficaci e repentini, e si sa che, in qualsiasi settore si operi, le responsabilità ricadono sempre e comunque su chi comanda, che per primo devo capire e far capire, per l’ennesima volta, che non esistono alternative ad un obiettivo dichiarato ed improcrastinabile, ed a quali sarebbero le conseguenze negative, per non dire nefaste, di un mancato raggiungimento, non essendo contemplati o contemplabili altri piani che non siano il piano C, e per C ovviamente non si intende una terza scelta...
Continuando a ritenere il livello qualitativo della rosa adeguato allo scopo, è dunque evidente come i difetti dell’organico a disposizione possano non coincidere con il lato tecnico ma possano convergere su fattori riguardanti deficit di convinzione, determinazione e personalità: restando a domenica scorsa, chiunque si sarebbe aspettato, dopo la mezza rimonta subita dal Pompei, una squadra con il sangue agli occhi disposta a mangiarsi chiunque si fosse trovato davanti, salvo poi verificare che il migliore in campo, in termini di grinta e rabbia agonistica, sia risultato un giovane diciottenne senegalese all’esordio assoluto in un campionato italiano.
Dunque si ponga in essere tutto ciò che è necessario compiere per svoltare una stagione che, ripetiamo, non è compromessa ma i cui margini di risoluzione cominciano a ridursi drasticamente, in termini di sollecitazioni verso gli attori che scendono in campo, in termini di operazioni di mercato volte non solo ad alzare il tasso tecnico generale, ma a dotare la rosa di elementi già calati e pronti ad affrontare una realtà in cui, spesso, conta più possedere un phisique du role fatto di risolutezza, furbizia, capacità d’adattamento, persino cattiveria (sportiva) piuttosto che la singola giocata di classe che, in serie D, rischia di restare mestamente fine a se stessa.
Abbiamo volutamente ignorato, in chiusura, il surreale rigore concesso alla Nissa in chiusura di prima frazione, non perché non abbia contribuito a condizionare il risultato finale (chi ha giovato sa bene come determinati episodi possano risultare decisivi nelle dinamiche di una gara), bensì per il fatto che riteniamo che, ormai, il tempo degli alibi, fondati o meno, sia finito e chi bisogna essere più forti di tutto e di tutti, compresi episodi che, per quanto deprecabili, devono paradossalmente fungere da ulteriore stimolo per abbandonare al più presto queste categorie.