REGGINA: LA LUNGA (ED ESTENUANTE) VICENDA DI NOME E MARCHIO TRA PASSIONI GENUINE ED INTERESSI FAZIOSI

12.12.2024 13:00 di  Valerio Romito   vedi letture
REGGINA: LA LUNGA (ED ESTENUANTE) VICENDA DI NOME E MARCHIO TRA PASSIONI GENUINE ED INTERESSI FAZIOSI

La giornata di ieri potrebbe rappresentare una milestone definitiva, almeno sino a nuove e malaugurate traversie che dovessero, in futuro nuovamente riguardare le sorti della squadra amaranto (ogni scongiuro è ammesso), di un percorso accidentato e, per molti versi, sorprendente, che ha riguardato la carta di identità della Reggina, e che alla fine ha avuto bisogno di una bollinatura ad opera di un tribunale civile.

L’ordinanza del 9 dicembre, emessa dal Tribunale ordinario di Catanzaro - Sezione Specializzata in materia d’Impresa, e diffusa ieri dalla società di Via delle Industrie quale parte resistente di un ricorso giurisdizionale che, come detto, probabilmente mette un punto ad una vicenda le cui origini vanno fatte risalire, seppur a periodi alterni e con protagonisti diversi, quasi ad un decennio fa, ed esattamente dal primo fallimento avvenuto nel 2015 (seppur verrà formalizzato qualche anno dopo) a seguito del quale l’allora curatela fallimentare provvide a registrare, presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, i due marchi “Reggina Calcio”, cioè quelli attualmente usati dalla squadra amaranto e riprendendo quelli precedentemente registrati per la prima volta sin dal 1996; due anni dopo, lo stesso ufficio riceverà (ed accoglierà) una ulteriore iscrizione di un marchio “AS Reggina” da parte di un privato cittadino, vale a dire la stessa che, tre giorni fa, l'organo giudiziario ha reso nulla ab initio per un "evidente pericolo di confusione" rispetto ai marchi "previamente registrati" dalla società, "sulla base dell’evidente centralità nel marchio denominativo della parola “Reggina” e della sua prevalenza rispetto all’aggiunta dell’elemento denominativo “A.S.”.

Senza soffermarsi ulteriormente sul racconto cronologico che ha visto varie denominazioni assunte dal club reggino, ripartito da Reggio Calabria per ritornare Reggina solo dal 2019, ci soffermiamo sulla parentesi intermedia “URBS” dovuta all’inserimento, nell’asta per il marchio, di un terzo soggetto che prese in affitto lo stesso per apporlo sulle maglie di una squadra di futsal di serie C2, e che in più occasioni dichiarava la volontà di voler iscrivere una nuova società (LEGGI: PRONTI AD ISCRIVERE UNA REGGINA IN SERIE D O IN ECCELLENZA) con il gradimento di alcune testate giornalistiche, nonostante l’esistenza della Reggina proveniente dall’ormai famoso art. 52 comma 10 NOIF.

Saltando di qualche anno ed arrivando sino alle vicende attuali, non possiamo sottacere sui nuovi “disturbi” intervenuti in occasione dell’asta dello scorso maggio, in cui oltre all’allora LFA si presentarono il Comune di RC e l’imprenditore Stefano Bandecchi: se sulle motivazioni del primo pare difficile riscontrare secondi fini, pur mantenendo dubbi sulle possibili conseguenze pratiche di una simile scelta (LEGGI: SI PUÒ AVERE ANCORA FIDUCIA NEGLI UOMINI?), molti dubbi permanevano e permangono sulla genuinità delle ragioni di chi aveva interessi di natura politica nel territorio, nonché dichiaratamente alcuna intenzione, dopo le vicende settembrine, di impegnarsi ulteriormente nel calcio nostrano; il tutto sempre, guarda caso, con la compiacenza di soggetti già intravisti nella precedente occasione.

Tornando infine ai giorni nostri ed al dispositivo del Tribunale, che ha stabilito oltre ogni ragionevole dubbio la “nullità del predetto marchio per difetto di novità, sulla base dell’evidente centralità nel marchio denominativo della parola Reggina”, andando persino oltre quanto postulato da questa testata sulla decadenza di un marchio di fatto inutilizzato sin dalla sua creazione, pur continuando a nutrire perplessità sull’identificare storia e tradizione con un brand commerciale (LEGGI: SE IL MERCHANDISING VIENE CONFUSO CON IDENTITÀ E TRADIZIONE) non si può che restare interdetti nel riscontrare, evidentemente, il ripetersi pervicace di atteggiamenti spacciati per spassionati, se non addirittura filantropici, ma evidentemente volti ad ostacolare un percorso che, in questi anni, si sarebbe dovuto svolgere in maniera lineare e pacifica, ma che ha invece finito inevitabilmente per accendere polemiche, divisioni e veleni in seno ad una tifoseria già sufficientemente provata da ben due fallimenti sin troppo ravvicinati.

L’idea che ci sia voluto un giudice a Berlino per pacificare definitivamente un qualcosa che avrebbe dovuto seguire il suo corso con naturalezza, resta stridente agli occhi di chi ritiene che chi si professa tifoso dovrebbe agire unicamente per il bene della propria squadra e non certo per meri interessi personali (con tanto di marketing “parallelo” per non farci mancare nulla), ma viene accettata comunque con soddisfazione da chi vorrebbe non tornare mai più su un simil argomento, in antitesi con chi sponsorizza le altre parrocchie con curiosa costanza, per concentrarsi, finalmente, su fatti di calcio che, pur non essendo sempre piacevoli e soddisfacenti, fanno comunque parte del gioco e di null’altro.